Oggi, come 35 anni fa, ancora parliamo di lui, non solo per ricordarlo nel suo coraggio e nella sua forza d'animo, ma anche e soprattutto per continuare a combattere con lui e per lui quella “macchina assassina” che toglie la vita indistintamente a suo piacimento.
Un
destino segnato
Giuseppe
Impastato nasce a Cinisi in una famiglia mafiosa. Suo zio, Cesare
Manzella, era un boss di prima grandezza, ucciso nel 1963 in una
Giulietta imbottita di tritolo; suo padre, Luigi, era stato inviato
al confino durante il periodo fascista e aveva stretto un forte
legame d'amicizia con un uomo che era il numero uno di Cosa nostra,
Tano Badalamenti. Ma Peppino è un ribelle, va via di casa rompendo
con il padre, combattendo la mafia, militando nei gruppi di Nuova
Sinistra, conducendo le lotte dei contadini espropriati per la
costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, in
territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati, fondando una
radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari
dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia
Tano Badalamenti, che sarà infatti, il mandante del suo assassinio.
La
morte
Peppino
mostrava cosa stavano facendo al suo paese; faceva nomi e cognomi di
mafiosi e politici, senza indugio, senza paura. Morto a soli
trent'anni, il 9 maggio del 1978, cinque giorni prima della sua
elezione a Consigliere Comunale di Cinisi, nelle liste di Democrazia
Proletaria. Lo fecero letteralmente a pezzi, sui binari della
ferrovia di Cinisi: lo misero sulle rotaie dopo averlo stordito,
adagiarono il suo corpo su una carica di tritolo e fecero brillare
l'esplosivo. Per ventitré anni provarono a cancellarne il ricordo,
sotto macerie di false testimonianze e calunnie per ricostruzioni di
comodo che lo volevano suicida o saltato in aria accidentalmente,
maneggiando l'esplosivo. La notizia della sua morte arrivò il giorno
del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, avvenimento che pose la
storia di Peppino al margine, all'ombra: l'esplosivo non fu mai
esaminato, la sua autovettura mai analizzata, bastò una “lettera
d'addio” a certificare l'ipotesi del suicidio. Ma non per chi
l'aveva conosciuto, non per chi aveva combattuto al suo fianco,
spalla a spalla per tutti quegli anni.
La
verità
La
travagliata vicenda fu archiviata, poi riaperta. Vennero interrogati
e indagati i compagni di partito di Peppino per un “complotto”.
Questi, insieme al fratello e alla madre di Peppino, non smisero
neanche un attimo di lottare per la giustizia, per la verità, per
non far sprofondare nell'oblio del ricordo la sua storia. Nel 1994 la
verità venne a galla: l'omicidio era stato voluto da Tano
Badalamenti ed eseguito da Francesco di Trapani e Nino Badalamenti.
Tano, d'accordo con Luigi, il padre di Peppino, ordinò di uccidere
il ragazzo, solo quando Luigi, di ritorno da un viaggio in USA, morì
in un “misterioso” incidente stradale sul quale, ovviamente, non
si indagò. Nel 1995 Palazzolo, il braccio destro di Badalamenti, fu
il primo ad essere condannato. Felicia Bartolotta,
madre di Peppino, allora aveva 85 anni. “Ora - disse - tutti sanno
qual è la verità. Ora aspetto la condanna di Badalamenti e poi
posso anche morire […] Anche gli insetti se lo sono mangiati mio
figlio. Che ci vado a fare al cimitero? Lì non c´è. Solo un
sacchetto, questo mi hanno lasciato”.
Le celebrazioni
Le celebrazioni
Oltre
alle manifestazioni in suo onore, in cui in tutti questi anni i suoi
concittadini si sono distinti, quest'anno un'occhiata ammirevole va
alla regione Lazio: i Giovani Democratici della
Provincia di Latina, in concomitanza con l'anniversario della sua
morte, hanno avviato dal 9 maggio una campagna per l'intitolazione di
una strada a suo nome, in ogni Città dove è presente un circolo dei
GD, basta firmare la petizione. Una bella idea da belle menti,
giovani e militanti.
Giorgia Pellorca
I Giovani Democratici di Cisterna, nei prossimi week-end saranno in piazza con il proprio gazebo per la raccolta firme per l'intitolazione di una strada a Peppino Impastato anche nella nostra città.